Il Whistleblower

Nell’ambito dell’attività di Compliance aziendale e del risk management abbiamo già parlato di attività che vengono poste in essere, si veda: Internal Audit, due diligence. Abbiamo parlato anche di alcuni strumenti quali: MOG231 e di organismi preposti al controllo dello stesso, come l’ODV.

Nel seguente articolo ci concentreremo, invece, su una figura particolarmente discussa e nei confronti della quale, negli ultimi anni, è emersa particolare attenzione circa la sua tutela.

Intanto, bisogna chiedersi: chi è il Whistleblower?

E’ un dipendente pubblico che segnala alle autorità preposte la presenza di situazioni sospette all’interno della propria azienda. In maniera più specifica, si tratta di un “segnalatore” (o letteralmente “fischiettatore”) di illeciti pubblici. Di norma, è un dipendente di un ente che, in virtù della propria occupazione nota delle violazioni normative (o comunque comportamenti non coerenti con gli obiettivi di compliance), decidendo di informare le autorità o i suoi superiori (o gli organi aziendali preposti).

Anche la stessa Anac sul proprio portale fornisce una definizione di whistleblower, ovvero: un dipendente della P.A. (o più precisamente come sottolineato di un ente pubblico economico o un ente di diritto privato che sia sottoposto a controllo pubblico) il quale segnala comportamenti o situazioni irregolari e situazioni illecite di cui il soggetto segnalatore è venuto a conoscenza.
Dopo aver analizzato il significato del termine, è necessario adesso comprendere cosa preveda la normativa italiana riguardo all’attività di whistleblowing e alle tutele garantite a coloro che segnalano il presunto illecito. La L.179 del 30 novembre 2017 entrata in vigore il 29 dicembre 2017, tratta il tema della tutela del lavoratore che segnala illeciti. Nella legge, viene espresso il concetto che è possibile segnalare l’illecito direttamente al “responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza” in azienda oppure all’Anac.
La legge, specifica che il whistleblower non può subire alcun tipo di ripercussione sul posto del lavoro, a causa della sua segnalazione, quindi non può essere demansionato, licenziato (salvo che non sussista giusta causa), trasferito, o subire altri effetti negativi. Qualora si dovessero verificare tali circostanze, il dipendente (o i sindacati al suo posto) può segnalare la situazione all’Anac.

Stando all’art. 329 del c.p.p.: nel procedimento alla Corte dei Conti non può emergere chi sia il whistleblower fino alla conclusione dell’istruttoria e nel procedimento disciplinare se l’identità del dipendente serve alla persona incolpata per tutelarsi, questa può essere rivelata solo se sussiste il consenso del whistleblower.

L’ Anac ha la possibilità di applicare determinate sanzioni.
Qualora emergano ritorsioni sul posto di lavoro verso il whistleblower, il responsabile di tali misure rischia una sanzione tra i 5mila ed i 30mila euro; se nell’amministrazione risulti mancante una procedura per inviare le segnalazioni, il responsabile rischia una sanzione tra i 10mila ed i 50mila euro. L’importo previsto da quest’ultima sanzione vale anche nel caso in cui il responsabile non verifichi le segnalazioni ricevute.